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Sulla giurisdizione civile in caso di crimini contro l’umanità commessi da uno Stato estero

(Corte costituzionale, sentenza 238/2014)
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=238

[Son inconstitucionales las disposiciones de ley relativas a las inmunidades jurisdiccionales de los Estados extranjeros en los juicios destinados a la compensación del daño sufrido por las víctimas de crímenes de guerra y crímenes contra la humanidad]

Con la sentenza n. 238 del 22 ottobre 2014 la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 5. Dichiara altresì incostituzionale parte dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848 (legge di esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite). Giudica infine infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla norma prodotta nell’ordinamento italiano mediante recepimento, ex art. 10 comma 1 della Costituzione, della norma consuetudinaria di diritto internazionale che garantisce l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati.
La pronuncia è stata da più parti ritenuta epocale, in quanto la Corte aggiunge un nuovo tassello al confronto/scontro tra Corti nell’ambito della tutela multilivello dei diritti. Al contempo ribadisce con forza la propria posizione nella contrapposizione (nazionale) tra potere giudiziario ed esecutivo, da cui origina la vicenda, nata nel 2004. È opportuno ripercorrere brevemente le tappe principali di questa intricata vicenda. A partire dalla sentenza Ferrini (Cass. S.U. 5044/2004), in Italia si è andato affermando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nell’ipotesi in cui uno Stato ponga in essere condotte che si configurano come crimini internazionali, non si applica la consuetudine internazionale che prevede l’immunità di ciascuno Stato dalla giurisdizione civile degli altri, per atti compiuti iure imperii (ossia nell’esercizio della propria potestà sovrana). Nel caso di specie la Cassazione italiana ha escluso l’immunità giurisdizionale della Germania rispetto ad un’azione civile risarcitoria presentata da un cittadino italiano, il quale era stato deportato in Germania ed assoggettato al lavoro forzato durante l’occupazione tedesca di parte del territorio italiano nel corso del secondo conflitto mondiale. La Corte ha introdotto così un’eccezione all’applicabilità del principio generale.
L’orientamento espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione a casi analoghi (come Al Adsani e Jones) e la pronuncia della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012 (Germania v. Italia) sono, invece, di segno opposto. In particolare, la CIG condanna proprio l’Italia per violazione della norma internazionale sull’immunità giurisdizionale dello stato estero, disponendo che, promulgando l’opportuna legislazione (o con altro metodo a sua scelta), la Repubblica italiana dovrà fare in modo di rendere inefficaci le pronunce delle proprie autorità giudiziarie che violino l’immunità della Germania riconosciuta dal diritto internazionale. Esattamente per adempiere agli obblighi internazionali ed adeguarsi alla pronuncia della CIG (in base alla previsione dell’art. 94 dello Statuto Onu), nel 2013 il legislatore italiano emana la legge n. 5, che obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia del 3 febbraio 2012 negando la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità commessi da uno Stato estero (la Germania) su suolo italiano. Nel 2014 il Tribunale di Firenze ne eccepisce l’illegittimità
Ad avviso della Consulta, le previsioni contenute nella legge impugnata sono in contrasto con uno dei principi supremi dell’ordinamento, la tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali, assicurato dalla Costituzione italiana agli artt. 2 e 24 Cost., che non può essere sacrificato totalmente, se il bene concorrente è l’esercizio illegittimo della potestà di governo dello Stato straniero.
Per arrivare a questa conclusione, la Corte passa attraverso alcuni snodi significativi. Afferma innanzitutto la propria competenza a giudicare della causa di specie, nonostante la consuetudine censurata si sia formata anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione. Così facendo, essa supera il dictum della sentenza n. 48 del 1979 (che aveva circoscritto il sindacato della Corte alle sole consuetudini posteriori all’entrata in vigore della Costituzione), attraverso il richiamo al dettato della sent. 1 del 1956, secondo il quale «l’assunto che il nuovo istituto della “illegittimità costituzionale” si riferisca solo alle leggi posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori non può essere accolto […]» (§ 2.1).
Stabilisce poi che non è fondata la questione di legittimità costituzionale della norma prodotta nell’ordinamento italiano mediante il recepimento della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati. Per la Corte, infatti, i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscono un limite all’ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute, alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma in base all’art. 10, primo comma. È tale articolo ad imporre alla Consulta di accertare se la norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, come interpretata nell’ordinamento internazionale, possa entrare nell’ordinamento costituzionale, oppure contrasti con principi fondamentali e diritti inviolabili.
Ad avviso della Corte, poichè il contrasto sussiste, va esclusa l’operatività del rinvio alla norma internazionale, perchè il diritto al giudice, riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione, è un principio fondamentale dell’ordinamento italiano. Per tale motivo, la parte della norma sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati che confligge con i predetti principi fondamentali non è entrata nell’ordinamento italiano (§ 3.2). Da tale premessa discende, appunto, l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’(inesistente) norma di adeguamento alla consuetudine internazionale prodottasi nell’ordinamento italiano.
Sono invece fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti dell’art. 3 della legge n. 5 del 2013, laddove obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, e dell’art. 1 della legge di adattamento alla Carta delle Nazioni Unite (legge 17 agosto 1957, n. 848), laddove impone al giudice italiano di adeguarsi alle pronunce della CIG. Si noti che l’art. 1 da ultimo citato è illegittimo esclusivamente nella parte in cui il giudice nazionale è tenuto a dare attuazione alla pronuncia del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona. La ragione comune della declaratoria di illegittimità risiede nel fatto che, ad avviso della Consulta, il giudice non può essere obbligato a seguire l’orientamento espresso dalla CIG, se questa implica, in concreto, l’ineffettività della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali. Questa tutela, infatti, costituisce uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
(m.g.b.)

Ver: P. De Sena, Spunti di riflessione sulla sentenza 238/2014 della Corte costituzionale, in “SIDIblog”, 30 ottobre 2014; L. Gradoni, Corte Costituzionale italiana e Corte internazionale di giustizia in rotta di collisione sull’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione civile, in “SIDIblog”, 27 ottobre 2014; A. Ruggeri, La Corte aziona l’arma dei “controlimiti” e, facendo un uso alquanto singolare delle categorie processuali, sbarra le porte all’ingresso in ambito interno di norma internazionale consuetudinaria (a margine di Corte cost. n. 238 del 2014), in “Consulta OnLine”, 17 novembre 2014.