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Rettificazione del sesso anagrafico ed effetti del matrimonio: (dis)continuità tre le sentenze n. 170/2014 della Corte costituzionale e n. 8097/2015 della Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, sentenza n. 8097/2015
http://www.personaedanno.it/attachments/article/47570/Cass._8097_2015.pdf

[La Corte di Cassazione dictaminó que, tras la sentencia no. 170/2014 de la Corte costituzionale sobre el así llamado “divorzio imposto”, debe ser considerada como ilegítima la anotación automática de extinción de los efectos civiles del matrimonio de las recurrentes después de la rectificación registral del sexo de uno de los cónyuges, mientras el legislador no introduzca una disciplina de las uniones civiles que permita mantener viva la relación de pareja a través otra forma de unión registrada idónea para proteger adecuadamente los derechos y deberes madurados durante el matrimonio]

Con la sentenza n. 8097/2015 della Corte di Cassazione si conclude la vicenda giudiziaria sul caso Bernaroli che, nel 2014, aveva dato luogo alla pronuncia incidentale della Corte costituzionale sulla questione del c.d. “divorzio imposto” (Corte. Cost. n. 170/2014).
I coniugi Bernaroli si erano opposti all’annotazione della cessazione degli effetti civili del loro matrimonio eseguita dall’ufficiale di stato civile competente dopo che, in costanza di matrimonio, il marito aveva chiesto e ottenuto la rettificazione del proprio sesso anagrafico. Il Tribunale di Modena aveva accolto il ricorso della signora Alessandra (già Alessandro) Bernaroli e della moglie ma, su reclamo del Ministero dell’Interno, la Corte d’Appello di Bologna aveva poi rigettato la domanda delle ricorrenti. Investita della questione, la Corte di Cassazione aveva quindi sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164/1982 (con riferimento ai parametri costituzionali contenuti negli articoli 2, 3, 24 e 29 Cost.), nella parte in cui dispongono che la sentenza di rettificazione e di attribuzione di sesso provochi automaticamente la cessazione degli effetti civili, o lo scioglimento, del matrimonio.
Con sentenza di accoglimento n. 170/2014, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 164/1982, per conflitto con l’articolo 2 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono la possibilità «di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore» (Disp. Si veda, in questo blog, F.M., Divorzio “imposto” ex lege e tutela delle unioni omosessuali).
Gli atti sono stati quindi ritrasmessi alla rimettente Corte di Cassazione e, nella perdurante assenza di un intervento legislativo, le ricorrenti hanno depositato atto di riassunzione della causa. Così, chiamata a dar seguito alla sentenza n. 170/2014 della Corte Costituzionale, la Cassazione ha accolto il ricorso e dichiarato illegittima l’annotazione sul registro dello stato civile della cessazione degli effetti civili del matrimonio delle ricorrenti.
Nella motivazione, la Cassazione ha argomentato in favore della tesi che ad essere colpita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale non fosse «la norma mancante del riconoscimento di uno statuto costituzionalmente adeguato alle unioni tra persone dello stesso sesso»: il giudice di legittimità ha sostenuto infatti che «se l’intento della Corte [Costituzionale] fosse stato limitato a questo profilo sarebbe stata sufficiente una sentenza monito […] con un dispositivo di rigetto. Al contrario la Corte [Costituzionale] ha ritenuto che il meccanismo di caducazione automatica del vincolo matrimoniale nel sistema di vuoto normativo attuale fosse produttivo di effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l’unione conseguente alla rettificazione di sesso di uno dei componenti deve, per obbligo costituzionale, conservare ex art. 2 Cost.» (p. 14).
La Cassazione ha ritenuto inoltre che, seppure qualificabile come additiva di principio, la sentenza n. 170/2014 dovesse ritenersi «autoapplicativa e non meramente dichiarativa» (p. 14) in quanto, ai sensi dell’art. 136 Cost., quando la Corte Costituzionale emette una pronuncia di accoglimento e dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma, tale norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Di conseguenza, ad avviso della Cassazione, «in attesa dell’intervento del legislatore, cui la Corte [Costituzionale] ha tracciato la via da percorrere, il giudice a quo è tenuto ad individuare sul piano ermeneutico la regola per il caso concreto che inveri il principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento» (p. 15).
Nello specifico, la Cassazione ha affermato che «alla luce del chiaro dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale», il proprio intervento non poteva che consistere nella temporanea «rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale sul regime giuridico di protezione dell’unione fino a che il legislatore non intervenga a riempire il vuoto normativo, ritenuto costituzionalmente intollerabile, costituito dalla mancanza di un modello di relazione tra persone dello stesso sesso all’interno del quale far confluire le unioni matrimoniali contratte originariamente da persone di sesso diverso e divenute, mediante la rettificazione del sesso di uno dei componenti, del medesimo sesso» (pp. 15-16).
Secondo la Cassazione, la propria decisione sarebbe stata «costituzionalmente obbligata» e, d’altra parte, non avrebbe determinato «l’estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive»: la conservazione in capo alle ricorrenti «dello statuto dei diritti e dei doveri proprio del modello matrimoniale» rimane, infatti, «sottoposta alla condizione temporale risolutiva della nuova regolamentazione indicata dalla sentenza» della Corte Costituzionale (p. 17.).
La decisione della Corte di Cassazione è apparsa tutt’altro che pacifica a parte della dottrina.
A questo proposito va segnalato, innanzitutto, che non vi è consenso sul fatto che le sentenze additive di principio della Corte Costituzionale possano considerarsi autoapplicative. Tali sentenze consistono infatti in pronunce che, pur dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni normative oggetto di giudizio nella parte in cui non prevedono qualcosa che dovrebbero prevedere, non formulano però espressamente la regola mancante ma, nell’impossibilità di individuare un’unica soluzione conforme alla Costituzione, si limitano invece ad indicare il principio generale a cui il legislatore dovrà conformarsi nel colmare la lacuna rilevata. In questa prospettiva, rimane controverso in dottrina se e in che termini le sentenze additive di principio siano suscettibili di immediata applicazione giudiziale.
Tali dubbi si ripropongono in termini particolarmente radicali quando, come nel caso della sentenza della Cassazione in commento, la decisione del giudice a quo si presti ad essere letta non tanto come meramente applicativa della pronuncia della Corte Costituzionale ma, piuttosto, come un vero e proprio “scatto in avanti” attraverso il quale si anticipano scelte di merito per nulla «obbligate», e riservate al legislatore.
Non manca peraltro, in dottrina, chi ritiene che la soluzione adottata dalla Cassazione si ponga per certi versi in conflitto con la sentenza n. 170/2014 della Corte costituzionale (la quale, è bene ricordare, ha categoricamente escluso la possibilità del permanere del vincolo matrimoniale a seguito della rettifica del sesso anagrafico di uno dei coniugi).
La sentenza n. 8097/2015 della Corte di Cassazione – come molte altre in materia di diritti delle coppie same-sex – continua quindi a fare molto discutere. Certo è, comunque, che il caso Bernaroli conferma ancora una volta come le pretese “indebite ingerenze” dei giudici in scelte politiche che dovrebbero spettare al legislatore trovino spesso la loro origine proprio nell’ostinata inerzia del legislatore stesso. O almeno così è certamente per la questione delle unioni civili, in relazione alla quale, da anni, il Parlamento non sembra in grado di raggiungere alcuna forma di accordo politico (tuttora il disegno di legge attualmente in discussione al Senato è oggetto di accesi dissensi). E questo non solo disattendendo il monito rivoltogli della Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 170/2014, ma anche ignorando la condanna che la Corte europea dei diritti umani ha inflitto all’Italia, nel luglio 2015, proprio in ragione dell’assenza di una qualsivoglia forma di tutela legislativa dei diritti delle coppie same-sex (Oliari et. al. c. Italia).
(p.p.)

Ver:
V. Baldini, Riflessioni a caldo sulla sentenza n. 8097/15: il giudice della nomofilachia smentisce la corte costituzionale in tema di matrimonio tra omosessuali? en www.dirittifondamentali.it;
R. Cataldo, La prospettiva de iure condito e de iure condendo della sentenza n. 8097/2015 della Corte di Cassazione sul matrimonio omosessuale sottoposto a condizione temporale risolutiva, en “Osservatorio costituzionale AIC”, n. 3/2015, http://www.osservatorioaic.it/;
M. Gattuso, La vittoria delle due Alessandre: le due donne restano sposate sino all’entrata in vigore di una legge sulle unioni civili, en “Articolo 29”, http://www.articolo29.it;
C. Panzera, Il discutibile seguito giudiziario dell’additiva di principio sul “divorzio imposto”, en “Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna”, http://www.forumcostituzionale.it;
L. Ponzetta, Nota a margine della sentenza n. 8097/2015 della I sezione civile della Corte di Cassazione: il seguito della sentenza additiva di principio n. 170/2014, en “Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna”, http://www.forumcostituzionale.it.

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Divorzio “imposto” ex lege e tutela delle unioni omosessuali

(Corte costituzionale, sentenza 170/2014)
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=170

[Son inconstitucionales las disposiciones normativas que prevén la disolución automática del matrimonio en el caso de rectificación registral del sexo por uno de los cónyuges en la ausencia de un marco legislativo para la protección de las uniones homosexuales]

Con la sentenza 170 dell’11 giugno 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali gli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 – che stabilivano lo scioglimento automatico del matrimonio a seguito di rettificazione di sesso da parte di uno dei due soggetti coniugati – «nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi […] consenta, […] ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore» (Disp.).
La Corte ha giudicato corretta l’interpretazione delle disposizioni impugnate proposta dal giudice rimettente (la Corte di cassazione), secondo la quale esse stabiliscono, in caso di rettificazione di sesso da parte di uno dei due coniugi, una fattispecie di divorzio “imposto” ex lege, che non richiede, al fine di produrre i suoi effetti, una pronuncia giudiziale ad hoc, salva la presenza di figli minori della coppia coniugata, che nel caso di specie sono assenti. Del tutto prescindendo dalla volontà dei coniugi, è esattamente il carattere «automatico» dello scioglimento del vincolo matrimoniale (§ 5.2 c.d.), a determinare l’illegittimità costituzionale delle norme contestate.
Pur ritenendo il rapporto di coppia, a seguito di rettificazione di sesso da parte di uno dei due coniugi, non più inquadrabile nel modello matrimoniale (tanto che la Corte, per automatico effetto della rettificazione, ritiene i due coniugi non più sposati), il giudice costituzionale riconosce d’altra parte il «pregresso vissuto, nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale» (§ 5.1 c.d.).
La fattispecie peculiare che ha portato al giudizio incidentale di costituzionalità è stata ricostruita dalla Corte richiamando pedissequamente la propria precedente decisione in tema di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali (sentenza 138 del 14 aprile 2010). A giudizio della Corte, seppure la particolare situazione dei coniugi non può essere ricondotta al matrimonio, essendo questo disciplinato dal codice civile secondo il modello tradizionale del paradigma eterosessuale dell’istituto («la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente […] è quella stessa definita dal codice civile del 1942, che “stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso”» [§ 5.2 c.d.], essa è inquadrabile nella categoria delle «situazioni “specifiche” e “particolari”» in cui si trovano le coppie dello stesso sesso (annoverate dalla 138/2010 nelle «formazioni sociali» ove si svolge la personalità dell’individuo, ex art. 2 Cost.) «con riguardo alle quali – ha affermato il giudice costituzionale – ricorrono i presupposti per un intervento di questa Corte per il profilo […] di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore» (§ 5.6, primo cpv., c.d.).
Secondo la Corte, nella fattispecie, così ricostruita, entrano in collisione due interessi contrapposti: da un lato, «l’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio (e a non consentirne, quindi, la prosecuzione, una volta venuto meno il requisito essenziale della diversità di sesso dei coniugi)»; dall’altro, l’interesse della coppia – non più unita in matrimonio per la rettificazione di sesso di uno dei coniugi – alla preservazione della «dimensione giuridica del preesistente rapporto, che essa vorrebbe […] mantenere in essere» (§ 5.6, secondo cpv., c.d.). Poiché la normativa impugnata – dichiara la Corte – «risolve un tale contrasto di interessi in termini di tutela esclusiva di quello statuale alla non modificazione dei caratteri fondamentali dell’istituto del matrimonio, restando chiusa ad ogni qualsiasi, pur possibile, forma di suo bilanciamento con gli interessi della coppia» (§ 5.6, terzo cpv., c.d.), essa deve dichiararsi incostituzionale. La coppia (non più coniugata perché ora formata da persone dello stesso sesso) deve essere per la Corte in ogni caso «tutelata come “forma di comunità”, connotata dalla “stabile convivenza tra due persone”, “idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione”» (ibidem). Ma questa tutela non è attualmente garantita dall’ordinamento italiano, nel quale le unioni omosessuali non hanno finora trovato alcun riconoscimento giuridico.
La dichiarazione di incostituzionalità contenuta nella pronuncia in commento rappresentava, probabilmente, lo strumento migliore di cui la Corte, senza recedere da quanto aveva affermato nel suo precedente (138/2010), poteva disporre per realizzare due obbiettivi. Il primo obbiettivo era quello di sollecitare risolutamente il legislatore a provvedere a dare riconoscimento giuridico alle unioni omosessuali: sotto questo aspetto è apparso significativo il fermo monito rivolto al legislatore, che, secondo quanto ha dichiarato la Corte, deve assolvere questo compito «con la massima sollecitudine» (§ 5.6, quinot cpv., c.d.). L’altro obiettivo, che il giudice costituzionale ha voluto inequivocabilmente perseguire, era poi quello di orientare il legislatore verso una disciplina intesa non già all’estensione del matrimonio alle unioni omosessuali, bensì alla differenziazione di queste dalle coppie eterosessuali tramite l’introduzione legislativa di un istituto diverso dal matrimonio, che la Corte chiama, senza precisarne i contenuti, «convivenza registrata» (Disp.): sembra orientare verso questa ricostruzione delle intenzioni della Corte il fatto che nella motivazione la Corte affermi che è «compito del legislatore introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio)» (§ 5.6, quinto cpv., c.d.). per dare riconoscimento giuridico alle coppie formate da persone dello stesso sesso.
E’ esattamente su questa strada che sta procedendo il Parlamento italiano con il DdL n. 2081, cosiddetto Cirinnà (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), in queste settimane in discussione nell’aula del Senato.
(f.m.)

Ver: P. Veronesi, Un’anomala additiva di principio in materia di “divorzio imposto”: il “caso Bernaroli” nella sentenza n. 170/2014, en la página web:
http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wpcontent/uploads/2013/05/0029_nota_170_2014_veronesi.pdf;
F. Mastromartino, Il giudicato costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso: quale discrezionalità per il legislatore italiano?, in “Diritto e questioni pubbliche”, 1, 2015, en la página web:
http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2015_n15-1/01_mono_08-Mastromartino.pdf